Sono tratte da Sal 34,7 le parole che compongono il motto scelto da Papa Francesco per la II Giornata Mondiale dei Poveri, che verrà celebrata (questa) domenica, 18 novembre. Queste parole diventano nostre nel momento in cui siamo chiamati a incontrare le diverse condizioni di sofferenza ed emarginazione in cui vivono tanti fratelli e sorelle che siamo abituati a designare con il termine generico di poveri”. Sono tre i verbi che, sottolinea Papa Francesco nel suo messaggio, caratterizzano “l’atteggiamento del povero e il suo rapporto con Dio. Anzitutto, gridare. La condizione di povertà non si esaurisce in una parola, ma diventa un grido che attraversa i cieli e raggiunge Dio”. Il grido del povero è la manifestazione della sua condizione di “sofferenza e solitudine”, che chiama ognuno a un “esame di coscienza”. Il secondo verbo è rispondere. “Il Signore, dice il Salmista, non solo ascolta il grido del povero, ma risponde. La sua risposta, come viene attestato in tutta la storia della salvezza, è una partecipazione piena d’amore alla condizione del povero”. Dio risponde al grido del povero, compiendo un “intervento di salvezza, per curare le ferite dell’anima e del corpo, per restituire giustizia e per aiutare a riprendere la vita con dignità”. Tuttavia, “la risposta di Dio è anche un appello affinché chiunque crede in Lui possa fare altrettanto nei limiti dell’umano”. Il terzo verbo è liberare. “L’azione con la quale il Signore libera è un atto di salvezza per quanti hanno manifestato a Lui la propria tristezza e angoscia. La prigionia della povertà viene spezzata dalla potenza dell’intervento di Dio”. Confrontarsi con chi vive in povertà non è affatto un gioco, ma al contrario, “è lo Spirito a suscitare gesti che siano segno della risposta e della vicinanza di Dio. Quando troviamo il modo per avvicinarci ai poveri, sappiamo che il primato spetta a Lui, che ha aperto i nostri occhi e il nostro cuore alla conversione”. L’invito del Pontefice, per la prossima Giornata dei Poveri, è a fuggire da ogni “protagonismo“, poiché l’indigente ha bisogno di quell’”amore che sa nascondersi e dimenticare il bene fatto“.