Il fisiatra: accanto a Fabo per 2 anni. «Poi ha smesso di lottare». Parla lo specialista che ha seguito il dj: all’inizio aveva voglia di farcela, non siamo riusciti a fermarlo. (…) In vent’anni di lavoro sui disabili gravissimi abbiamo visto di tutto. Abbiamo una paziente che si definisce atea, da anni attaccata a un ventilatore, ma sostiene che la sua vita è piena. Abbiamo poi molti malati di Sla, e solo due ci hanno chiesto di non essere tracheotomizzati, com’è già loro diritto senza bisogno di leggi nuove, quindi li seguiamo con cure palliative per morire naturalmente, senza alcuna eutanasia ma anche senza soffrire: è la volontà di una persona lucida che dice ‘questa cura straordinaria non la voglio’. Lo prevede la Costituzione e anche il catechismo. Un caso come quello di Fabo, tra centinaia di disabili, non ci è mai capitato prima: la stragrande maggioranza chiede di ricevere tutte le cure possibili per una vita pienamente degna, e purtroppo non le hanno.Questo è il grande diritto inascoltato, vivere, ma non viene difeso con la forza con cui si reclama un diritto di morire. Persino la Lombardia, che è un’isola felice, copre buona parte dei costi altissimi di assistenza ai disabili gravi, ma ad esempio basta che il paziente in stato vegetativo abbia un lieve miglioramento perché il carico venga spostato sulle famiglie. «Perché coloro che si battono per la morte di pochi non si battono al fianco di queste povere madri, che noi vediamo letteralmente svenarsi per i figli? Sono una folla bisognosa e abbandonata». La storia di Fabo non è finita qui. Chi voleva usarla per fini ideologici da qui comincia (…)
(Lucia Bellaspiga; Avvenire; martedì 28 febbraio 2017)