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UN ALTRO MODO

Riflettendo brevemente sul dono della pace, accennavo la scorsa settimana su come essa sia ostacolata anche da pensieri e atteggiamenti “megalomani”, da manie di grandiosità e presunzione che hanno forti riflessi politici ed economici, seminando ingiustizie che ricadono soprattutto sui più deboli. Sembra diffondersi uno stile di sopraffazione capace di cancellare secoli di riflessione umana e valori che un po’ alla volta sono stati riconosciuti tali in modo sempre più ampio e condiviso.
Ciò che più mi interroga è che tale visione sta trovando anche giustificazioni evangeliche dentro a tante comunità cristiane. “Teologia della prosperità”: questo è il nome più conosciuto e descrittivo di una corrente teologica neopentecostale evangelica prevalentemente americana. Al centro di questa “teologia” vi è la convinzione che Dio vuole che i suoi fedeli abbiano una vita prospera e cioè che siano ricchi dal punto di vista economico, sani da quello fisico e individualmente felici. Ne emerge un cristianesimo che colloca il benessere del credente al centro della preghiera e riduce Dio a colui che realizza i suoi pensieri e i suoi desideri.
A un primo sguardo, penso fatichiamo in tanti a ritrovarci in questa visione di fede: nella realtà dei fatti, tuttavia, credo stia entrando da più parti nel modo diffuso di pregare e fare comunità. Spesso al centro della preghiera vi sono i nostri bisogni personali, la nostra serenità rispetto alla volontà di Dio nella nostra vita e in quella degli altri. Nella fede, talvolta cerchiamo la giustificazione alle nostre scelte piuttosto che la luce e la forza per realizzare il bene che Dio vuole per l’umanità o con la fede giustifichiamo azioni di forza, interventi o eventi possibili nei vari campi della vita. Nel fare Chiesa ci entusiasmiamo per l’efficacia, il successo, il risultato constatabile e le statistiche favorevoli. Quando poi la fede o la Chiesa diventano un ostacolo per giustificare quella che riteniamo una legittima prosperità le evitiamo, le rifiutiamo, le combattiamo o le viviamo separandoci dagli altri, addirittura facendoci una comunità a parte. Sì, non è così lontana dalla nostra società e dalla nostra vita cristiana la “teologia della prosperità” e come credenti siamo chiamati a vigilare perché essa non ci allontani dal Vangelo, sapendo cogliere dentro a tanti messaggi che arrivano, anche attraverso potenti campagne mediatiche, l’autentica parola del Signore.
Il nostro piccolo-grande-mondo della fede ci chiama a cercare la nostra realizzazione e quella dell’intera umanità in Gesù Cristo, in lui che “pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini” (Fil 2,6-7). L’autentica grandezza umana e cristiana consiste proprio nel servizio reciproco, nell’amarci alla maniera di Gesù, nel costruire un’umanità riconciliata e fraterna, che tutto accoglie come dono, soprattutto la presenza di Cristo che si è fatto povero per farci ricchi per mezzo della sua povertà (cf. 2Cor 8,9).
Il parroco, don Silvano